DOMENICO RYOLO
Padre dell'archeologia di Milazzo - ne conosceva perfettamente anche la geologia - profondo cultore dell'architettura e dell'arte cittadina (scrisse la prima guida turistica della città), presidente della locale associazione Agricoltori (figurava tra i più importanti produttori vinicoli ed orticoli della Piana), il barone ing. Domenico Ryolo Di Maria, cui è intitolato il Museo Etnoantropologico allestito nell'ex Carcere Femminile, viene qui ricordato dalla nipote Laura in una suggestiva quanto emozionante sequenza di ricordi scritti qualche anno fa; ricordi che restituiscono il profilo intimo e privato di questo illustre milazzese.
Io credo che Domenico Ryolo abbia ben meritato il suo posto tra i
cittadini illustri di Milazzo; i suoi studi e le scoperte in campo
archeologico restano un punto di riferimento per gli studiosi e per
quanti vogliono approfondire la storia antica della città e della
provincia messinese.
Di lui, studioso e ricercatore, testimonia l’Antiquarium Archeologico
che gli amici-colleghi hanno voluto dedicargli, e che conserva alcuni
dei risultati della sua appassionata e instancabile attività volta a
restituire a Milazzo buona parte del suo antico passato.
Per me
Domenico Ryolo era lo zio Mimì e, nel ricordarlo, la prima immagine che
immancabilmente ho di lui mi riporta molto indietro nel tempo, quando
noi nipoti andavamo a trovarlo a “Camiòli", dove abitava insieme ai
fratelli, Francesco Paolo, lo zio Ciccio, e la zia Maria.
Erano piacevoli visite. Lo zio ci accoglieva sempre sorridente e
scherzoso, ma noi sapevamo che a pranzo non saremmo sfuggiti alle sue
interrogazioni di storia. Le date ci lasciavano ammutoliti, ma lui era
un insegnante molto indulgente e riusciva anche ad interessarci con
storie di ritrovamenti archeologici, di gesta di antichi eroi o degli
dei dell’Olimpo; insomma ci era molto simpatico, e senza sapere,
ovviamente, di psicologia avevamo intuito che proprio il suo amore
per il mondo antico e per il suo lavoro di ricerca era la causa del
suo modo di essere e di quel piacere che traspariva inevitabilmente
nel suo raccontare. Ricordo ancora quando un giorno, noi bambini pensammo di fargli uno
scherzo e dopo aver confezionato una piccola anfora di terra, gliela
mostrammo raccontando di averla trovata sepolta in campagna; lo zio,
divertito, fece finta di crederci.
I miei ricordi si legano sempre a quella casa di campagna dal nome un
po’ strano: Camioli; l’amata casa di villeggiatura della nonna
Carolina, la madre dello zio Mimì, che ad ogni estate vi si trasferiva
da Milazzo con tutta la numerosa famiglia. La costruzione semplice e
lineare si affacciava su un vasto giardino dalle aiuole piene di
fiori, rose soprattutto, che dovevano piacere molto anche allo zio
Mimì, tanto che ne aveva catalogato e descritto le numerose varietà.
Quasi adiacente all’abitazione vi erano il pozzo e il grande palmento;
teatro questo, ogni settembre, dell’avvenimento più atteso e più
importante per l’economia familiare, la vendemmia. Poco più lontano, in
fondo al giardino, la chiesetta di famiglia, di stile classico, che
oggi, anche se offesa dal tempo e dalle incursioni dei ladri, è
l’ultima testimonianza della vita e degli affetti di quel nucleo
familiare che un tempo aveva abitato a “Camioli”.
Lo zio Mimì era nato a Milazzo nel 1895, da Cesare Ryolo e da Carolina Di
Maria Brunaccini ed era il primo di 5 fratelli: Francesco, Casimiro,
Rosalia, Antonino (mio padre).
Non ricordo la nonna, mancata nel 1945, ma la lettura della sua
corrispondenza quasi giornaliera con il fratello Casimiro me l’ha resa
ugualmente familiare; era certamente una madre tenerissima anche se
energica, che spesso rivelava la fatica e la difficoltà di gestire la
numerosa famiglia, soprattutto dopo la morte del marito.
Sull’educazione dei figli però la nonna non transigeva ed era disposta
a qualunque sacrificio economico. Così scrive nel 1912 alla cugina
Laura: “ I miei figli, per la grazia di Dio, tutti mostrano di avere dei
buoni sentimenti, speriamo che la buona educazione rinsaldi questi
innati sentimenti e li faccia riuscire quali li vuole Dio, la famiglia e
la patria: buoni e virtuosi”; decise così di mandarli in collegio: i
maschi furono iscritti alla Badia di Montecassino e le femmine al Sacro
Cuore di Palermo.
Per i ragazzi soprattutto la vita alla Badia dovette essere molto
austera, tuttavia studiarono con buon profitto ottenendo sempre
lusinghiere valutazioni mentre il giovane Domenico si distingueva per
una notevole attitudine nello studio del pianoforte.
D'altronde, l’amore per la musica doveva essere comune in casa Ryolo,
come starebbero a dimostrare i tanti spartiti diligentemente
conservati che sembrano essere stati usati da quasi tutti i
componenti la famiglia, dalla nonna dello zio, Rosalia Ricciardi, alla
sorella Rosalia che era, lo ricordo bene, un’ eccellente pianista. Ma
un buon numero di ballabili e “le ultime novità” degli anni 20-30 tra
Mozart, Chopin e Beethoven stanno anche a testimoniare spensierate
riunioni con i fratelli Ryolo al piano.
Nel 1915 la Patria, al cui
rispetto e amore i ragazzi erano stati educati, li richiese ben presto;
Domenico e Francesco furono i primi tra i fratelli a partire per il
fronte. Domenico prese parte a varie azioni belliche quale ufficiale di
artiglieria e comandante della 609 Batteria. Finita la guerra, ebbe
conferita la Croce di guerra e in seguito, come ex combattente,
l’onorificenza di Cavaliere di Vittorio Veneto.
Di questa drammatica esperienza lo zio Mimì, come pure i suoi fratelli,
non ci parlarono mai, eppure si erano comportati con onore e
responsabilità e ne avrebbero avute di storie da raccontare, ma troppi
giovani avevano sacrificato la loro vita, tanti i loro amici. Lo zio
conservava però le medaglie, alcuni appunti logistici scritti a
matita nelle trincee e parecchie foto; mi colpiscono in particolare
quelle che lo ritraggono con i commilitoni in marcia su di un ripido
sentiero di montagna, o quando durante una ritirata, trasportano
faticosamente a braccia un enorme cannone.
Finita la guerra, lo zio
Mimì, che nel 1913 si era iscritto al Politecnico di Milano, potè
riprendere gli studi e conseguire nel 1922 la laurea in Ingegneria
industriale-meccanica.
Insieme alla libera professione inizio’ anche a dedicarsi a quella
passione che sin da giovane aveva manifestato: le ricerche storiche,
soprattutto nell’ambito della Sicilia e gli studi di numismatica.
Dall’illustre zio, il malacologo palermitano Tommaso Di Maria marchese
di Monterosato , il giovane Domenico aveva sicuramente ricevuto un
esempio di rigore nello studio e di amore per la scienza.
Tanta tenacia ed entusiasmo furono premiate nel 1940 dalla sua prima
importante scoperta: l’ubicazione della località Longane dove, nel 269
a.C. si era svolta la battaglia tra Mamertini e Siracusani.
Serio e responsabile nello studio e nella professione, il giovane
Domenico era anche dotato di buon carattere, allegro e socievole, e di
un aspetto più che attraente. Noi nipoti eravamo certi che doveva
aver fatto palpitare più di una volta il cuore del gentil sesso.
Era sicuramente un romantico lo zio, e amava scrivere poesie dedicate a
leggiadre a forse immaginarie fanciulle; universitario a Milano,
aveva vissuto un amore importante. Alcune lettere e una foto di donna
con dedica rivelano che dovette essere un sentimento intenso e pieno
di passione. Un’ amicizia “affettuosa” lo legò in seguito per molti anni
a Maria M., e fu causa indiretta di un drammatico incidente. Era il
13 luglio del 1934 e lo zio Mimì e la sua amica si stavano recando in
auto a Ravenna, quando la macchina, guidata dalla donna, si ribaltò
per cause ignote, provocando gravissime ferite allo zio, in seguito alle
quali subì l’amputazione di tre dita della mano sinistra.
Fu una grave menomazione che egli affrontò con coraggio, e anche se
dovette rinunciare al pianoforte, si dedico’, forse con ancora
maggiore impegno, alla sua passione per l’archeologia.
Nel 1940 fu dapprima nominato Ispettore Onorario di Milazzo e nel 1950
fu Ispettore Onorario per i Monumenti, le Antichità e le Opere d’Arte
dell’intera provincia di Messina. Numerose furono in questo periodo le
sue scoperte, tra le quali una necropoli a incinerazione nel territorio
di Milazzo e monumenti paleocristiani e arabi. Molti dei suoi studi
furono pubblicati.
Scomparsa la madre e sposatisi Casimiro, Rosalia e Antonino, lo zio e i
fratelli Francesco e Maria si domiciliarono a Camioli; Francesco,
ingegnere anche lui, era uno scapolone convinto e irriducibile. Non si
era sposato perché, come ci spiegava con un sorrisetto divertito, il
matrimonio era la tomba dell’amore, e d’altra parte, le condizioni
minime che aveva sempre posto per convolare a nozze, erano “case
separate”. Altro che i separati in casa di oggi…Anche Maria, terziaria
francescana, doveva essere stata poco incline al matrimonio, e si era
dedicata alla gestione familiare e alle cure materne dei fratelli e di
noi nipoti.
Sembrava che la loro vita dovesse continuare a scorrere su binari
tranquilli e prevedibili, finchè un giorno ai fratelli riuniti per il
pranzo, lo zio Mimì comunico’ di avere preso la decisione di
sposarsi.
La notizia li colse di sorpresa, ma lo zio Ciccio prontamente rispose:
“Sarà la benvenuta”. E così fu. La sposa, Vittoria dei marchesi Sersale
di Napoli fu il vero grande amore dello zio Mimì; il matrimonio fu
celebrato nel 1954. Francesco e Maria si trasferirono a Milazzo
lasciando agli sposi la villa di Camioli. La zia Vittoria si divertiva a
raccontare del suo primo ingresso in quella casa , quando lo zio,
quasi emulo di Barbablù, le diede piena disponibilità di tutte le
stanze, tranne che di una, chiusa a chiave.
Era il suo studio; una stanza invero particolare: dappertutto carte,
documenti, disegni, fotografie, e tanti libri, che, non trovando più
posto negli scaffali, salivano come tante colonnine dal pavimento.
Vietato entrare e assolutamente vietato “mettere ordine”.
Il matrimonio di Mimì e Vittoria fu una continua luna di miele e la
fedele e affezionata Anna, che per tanti anni fu nella loro casa, non
ricorda un litigio o una parola sgarbata tra loro, ma sempre e solo
affettuosità. Lei lo accompagnava nei convegni e quando erano alla
villa, lo zio si dedicava liberamente ai suoi studi, mentre lei amava
dipingere con i pastelli; era un’eccellente ritrattista, soprattutto di
bambini.
Lo zio si è spento il 2 dicembre del 1988. Negli ultimi anni la sua
memoria, un tempo così lucida e allenata, cominciava a subire le
offese della vecchiaia; eppure verso la fine, mentre la sua mente a
volte pareva perdersi e date, avvenimenti, battaglie sembravano ora
svanire ora confondersi in un’unica nebulosa , il suo amore per la
moglie superava ogni cedimento. Fino all’ultimo lo zio Mimì ci
sembrava veramente consapevole di una cosa sola, che quella donna
costantemente accanto a lui era la sua Vittoria, e le si rivolgeva con
la dolcezza e il sorriso di sempre (Laura Ryolo).